Dalla fine ‘400 l’arte tessile fa tutt’uno con la storia di Chieri: ne stimola l’economia con positivi risvolti sociali, demografici e urbanistici.
Alcuni studiosi ritengono che l’attività abbia preso vita con l’insediamento, intorno al 1144 di tessitori provenienti dalla regione dei Balcani e praticanti l’eresia “catara”.
In ogni caso il periodo proto industriale dura un secolo: tra la fine del ‘400 e la fine del ‘500, quando più di metà della popolazione urbana era dedita alle operazioni di “…battitura, sbiancatura, asciugatura, coloratura, rifinitura, tessitura“. Attorno a queste attività principali prendevano peraltro vita filoni “secondari”, in stretta relazione con l’agricoltura: la coltivazione del “gualdo”, una pianta per la tintura in azzurro, l’allevamento del baco da seta e la coltivazione del gelso (forse introdotto a Chieri dalla nobile Sibilla, moglie di Amedeo V conte di Savoia). Infine la trattura e la torcitura del filo di seta.
Tutti questi lavori erano necessari per trasformare in tessuto le materie prime: seta, lino, canapa e successivamente il cotone, sia grezzo sia in matasse di filo (cavezze), provenienti dall’Oriente via Marsiglia, Venezia e Genova. La dimensione aziendale era quella della piccola bottega familiare, che appaltava il lavoro a tessitori a domicilio.
Per l’espansione del giro di affari, i mercanti-imprenditori chieresi puntavano sul largo consumo, avvalendosi del contenimento dei costi di produzione, visto che il fustagno era un tessuto tipo “saia” da tre, di qualità medio-bassa, di colore azzurrognolo-bluastro, tinto col gualdo (isatis tinctoria), esportato dal porto di Genova in tutto il mondo.
Dal fustagno dell’ex Convento il blue-jeans dei nostri giorni
Non è nuova l’ipotesi che una deformazione della parola “Genova” possa spiegare il termine “blue-jeans”, riferito al famoso e intramontabile tessuto. Quello che non tutti sanno è che il diffusissimo blue-jeans, oggi entrato di prepotenza anche nell’haute couture, presenta le stesse caratteristiche dell’antico fustagno chierese. Documentata sin dal XIII secolo, con le attività dei maestri fustanieri, la produzione del fustagno a Chieri fu fiorente nel ‘400 e nel ‘500. Andò poi in crisi a partire dalla seconda metà del ‘600, ma con l’avvento della produzione semi-meccanizzata conobbe una straordinaria ripresa, soprattutto grazie alle attività dell’opificio impiantato da David Levi nel 1809 nei locali dell’ex convento di Santa Chiara e successivamente, intorno al 1830, con l’introduzione del telaio Jacquard.
Nei decenni successivi, e fino alla massima espansione intorno al 1910, l’industria tessile chierese crebbe in numero di occupati e produzione. Si moltiplicarono le fabbriche di filati e le tintorie, sebbene ancora sempre collegate a una rete di tessiture domestiche, tant’è che passando in qualsiasi strada cittadina non si poteva non udire il classico battere del telaio.
Nel 1822 erano censiti 38 opifici per tessitura con 470 macchine “a mano”, nel 1892 gli opifici si erano ridotti a 17, ma era aumentata la dotazione media di ognuno a 50 telai – ancora in prevalenza “a mano” – ed era altresì aumentata la produzione, diretta ai mercati di tutta Europa.
Nel 1910 gli opifici erano 29 e la produzione si caratterizzava prevalentemente per mollettoni e catalogne o coperte da letto in cotone sia bianche sia colorate, oltre che per tessuti “piquet”,“bandera”, “basini”, “Terlizzi”. E a questo punto il “>mercato di riferimento era davvero mondiale, Americhe non escluse.
Pur non uscita indenne dai recenti anni di crisi economica, l’industria tessile è tuttora all’avanguardia in tecnologia, servizio, qualità. Ha saputo ampliare il ventaglio dell’offerta per seguire le esigenze di mercato, distinguendosi in particolare per inventiva e design. Vanta cicli completi di lavorazione, che partono dalla progettazione e passano attraverso filatura, tessitura, tintura per terminare con il finissaggio idoneo alle caratteristiche dei vari prodotti. “Tessere il Futuro con i fili del Passato”: questo il motto-sfida degli imprenditori di oggi.